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Intervista a Mariangela Melato

 

Inauguriamo la nuova sezione dedicata alle interviste alle grandi figure femminili italiane; la prima voce è quella di Mariangela Melato.

 

«Una bella resistenza fisica, ecco quello che ci vuole: è la prima risposta che mi viene in mente quando tante ragazze mi chiedono consigli per diventare attrici».

Per Mariangela Melato il corpo è sempre al servizio della testa sulla strada della perfezione. “Sola me ne vo”: ultima metamorfosi, sul versante leggero, dopo i classici più impervi, centoottantesima replica ennesimo trionfo: mancano pochi minuti all’apertura del sipario e lei è già sul palco da mezz’ora. Che cosa c’è ancora da provare?

«Tutto» scherza. Tutto è niente per chi ha rischiato di annegare nei panni della maga Olimpia per l’”Orlando furioso” di Ronconi: «Ero giovane». Molti anni dopo, tornata bambina in “Quel che sapeva Maisie” ha portato sul palco una gamba rotta, nascondendo il “ tutore” sotto il grembiulone. «Ho dovuto fermarmi solo in “ Chi ha paura di Virginia Wolf” quando mi sono incrinata due vertebre cadendo in scena da una scala. Ma ho cancellato soltanto poche recite». La consapevolezza che «Piacere sempre di più, diventare sempre più brava è anche una fatica quotidiana parte dalla scuola di recitazione dell’Accademia Filodrammatici di via Montebello a Milano «Arrivai con un vestito di sacco e un’acconciatura che mi ero inventata da sola:all’esame di ammissione erano tutte più carine di me, puntando sull’aspetto, avrei perso». Dopo la prima scrittura, una doccia fredda: «Un anno intero di lavoro, ma per una comparsata: nella parte di un’ottantenne che doveva trascinare un fagotto sospirando “poso là”. Ingoiavo le lacrime. Poi mi sono detta: se questa è la mia sola chance, è da stupida buttarla via. E ho cominciato a studiare ogni gesto e ogni intonazione che potesse lasciare l’impronta di questo passaggio senza storia».E’ servito anche questo per diventare “Medea” di Euripide” e “Fedra” di Racine, e “Madre coraggio” di Brecht. «Entrando nel cuore e nelle scarpe di tante donne, un’attrice può ritrovarsi subito o riscoprirsi attraverso un ribaltone totale». Ha portato in scena i turbamenti della piccola Maisie ma anche i fantasmi di un’ultracentenaria in “L’affare Makroupolos” di Karel Kapec e il transessuale Raulito in “Tango barbaro” di Copi «Il trasformismo è anche un esorcismo contro la vecchiaia, mi ha insegnato ad accettarmi a non vergognarmi se devo andare in giro struccata. Greta Garbo, fissata nell’immaginario con il volto di Ninotcha, alla prima ruga ha dovuto inforcare gli occhiali e a non toglierli più».

 

Il trasformismo è anche un antidoto contro la fragilità
«Non in assoluto perché tendere sempre all’eccellenza significa poi fare i conti con una montagna di insicurezze. Per non volare in basso nel mondo dello spettacolo si rischia l’ulcera, come quando tra “Domenica in” e “Vestire gli ignudi” ho scelto Pirandello. Ma a teatro sono stata anche la “Dame de chez Maxime”, la sciantosa di Feydeau «In camerino pensavo: non tradirò me stessa se mi infilerò in questa guepière ma se la porterò con banalità». Sicurezza è anche giocare con una certa immagine sexy, usare il corpo senza idolatrarlo . «Ricordo Laura Antonelli a una serata di gala per la presentazione di “Malizia”. Io che avevo rifiutato il film pensavo a che affare aveva fatto il produttore , a quanto lei era più bella e più giusta per quella parte. E lei tremava di fronte ai fotografi… Io continuo a provare rabbia per il destino di queste ragazze che diventano preda di parrucchieri, stilisti, che pensano di usare il corpo per diventare dive prima che attrici… Dive o soprammobili: perché si sentono infrangibili o forse perché sono anche disposte ad andare in frantumi».

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